L’Unione europea e la riforma del Regolamento di Dublino

Il 4 ottobre scorso è stato raggiunto un accordo fra Italia e Germania riguardante un punto della micro-riforma al Regolamento di Dublino su cui sta attualmente discutendo l’Unione europea. La questione oggetto del ritrovato accordo fra i due paesi è contenuta nel “Regolamento sulle situazioni di crisi e di forza maggiore nel settore della migrazione e dell’asilo”, una delle dieci parti che compongono il “Patto per la migrazione e l’asilo”. Si tratta della riforma al Regolamento di Dublino che le istituzioni europee si sono poste l’obiettivo di approvare entro giugno 2024. Per adottare la riforma è necessario che tutte e dieci le componenti legislative che formano il Patto vengano approvate entro il mese di febbraio dell’anno prossimo. Le modifiche da apportare puntano a creare un approccio comune a tutti i paesi membri dell’Unione nei momenti di maggiore crisi, cioè in presenza di un numero ingente di sbarchi/arrivi in Europa, utilizzando a questo scopo un meccanismo di ricollocamento tra le varie nazioni. Fra le circostanze previste dal Regolamento crisi vi è pure quella della cosiddetta “strumentalizzazione” dei migranti, ossia manovre di volontario invio dei richiedenti asilo verso i paesi europei per fini di destabilizzazione; un meccanismo che il Regolamento crisi prevede di escludere per le operazioni di salvataggio delle navi delle ong, che non possono essere considerate in questo senso “fattore di strumentalizzazione”. È su questo punto che si era aperta la crisi fra Italia e Germania. A giugno di quest’anno, infatti, era stato raggiunto un accordo preliminare, dopo il quale però erano rimasti ancora in sospeso molti dettagli da chiarire, tra cui il documento oggetto della diatriba tra Roma e Berlino.

Giorgia Meloni e Olaf Scholz in occasione della visita del cancelliere tedesco a Palazzo Chigi lo scorso giugno. Fonte: Adnkronos

Sull’accordo poi raggiunto tra i due paesi sulla questione della strumentalizzazione delle ong, la vittoria ottenuta da Roma è più che altro simbolica: il paragrafo in oggetto è stato spostato dal testo al preambolo senza però modificarne il contenuto. Il testo è così riportato: «Secondo gli standard europei, le operazioni di aiuto umanitario non dovrebbero essere considerate come una strumentalizzazione dei migranti, quando non vi è l’obiettivo di destabilizzare l’Unione o uno Stato membro».

Il documento in questione è un atto secondario rispetto al resto della riforma ma aveva comunque acquisito una certa importanza a causa proprio dello scontro che era sorto tra Italia e Germania e che rischiava di bloccare nuovamente l’intero processo di modifiche a Dublino. In particolare, Berlino si era espressa a favore del ruolo delle ong che effettuano soccorsi nel Mediterraneo, sottolineando come il loro lavoro sia importante per salvare vite umane e quindi per consentire all’Unione europea di adempiere al suo ruolo da un punto di vista umanitario. In senso opposto, il governo Meloni ha sempre sostenuto che la presenza delle navi delle ong nel Mediterraneo spinga e incentivi i migranti a partire, determinando cioè il cosiddetto pull factor. Al di là di questo contrasto, la modifica sul punto non determina nessun reale cambiamento alla riforma nel suo complesso, che rimane poco ambiziosa e difficilmente migliorerà nel concreto la situazione dei paesi europei di primo ingresso. Infatti, la disciplina secondo cui il primo paese di arrivo di un richiedente asilo dovrà farsi carico di ospitarlo ed esaminarne la richiesta non sarà modificata.

In ogni caso, il superamento dello stallo tra Roma e Berlino segna comunque un punto a favore per la riforma, sbloccandone la discussione e permettendo di andare avanti con l’esame degli altri testi. Per esempio, l’accordo preliminare sulle modifiche al Regolamento di Dublino approvato a giugno prevede soprattutto un rafforzamento del principio secondo cui l’accoglienza dei migranti deve essere compito dei paesi di primo ingresso, punto che quindi non va a favore di Stati come l’Italia. In caso di ingenti arrivi, l’accordo prevede che una quota venga trasferita verso altri membri dell’Unione, ma in forma volontaria. Questo è probabilmente uno dei punti più deboli della riforma, in quanto è poco probabile che paesi più interni si offrano volontariamente di accogliere un certo numero di migranti in arrivo – cosa che non hanno fatto sinora. Secondo l’accordo preparatorio, infatti, i governi che non volessero accogliere i migranti sarebbero liberi di prendere questa decisione, pagando una cifra per ogni richiedente asilo respinto, indebolendo quindi il principio del ricollocamento. Questa scelta comporta che i richiedenti asilo “respinti” dai paesi interni all’Ue rimangano nel primo paese di approdo, quindi quasi sempre Italia, Grecia e Spagna.

Nonostante questa disciplina non sia favorevole ai paesi di primo ingresso, il governo italiano ha deciso di sostenere comunque la riforma perché prevede di ridurre gli arrivi via mare. Per raggiungere questo obiettivo è previsto il rafforzamento degli accordi con i paesi di partenza dei migranti, che l’Unione europea si impegna a finanziare per fare in modo che questi governi blocchino le partenze. È una pratica che nel breve termine riduce effettivamente gli arrivi, a discapito però del rispetto dei diritti umani – i governi dei paesi di partenza, infatti, non sono di solito vincolati quanto quelli europei nell’uso di vari strumenti di forza per fermare i migranti – e che limita il diritto di ciascuno richiedente asilo. È quello che è successo per esempio con l’accordo con la Turchia nel 2016, con la Libia nel 2017 – che ha previsto il finanziamento della guardia costiera libica –, e da ultimo con la Tunisia.

Non è la prima volta che l’Unione europea tenta di riformare il Regolamento di Dublino, ormai chiaramente inadeguato a gestire un fenomeno come quello migratorio che è ad oggi ben diverso da come si presentava quando la Convenzione venne adottata per la prima volta negli anni Novanta. L’attuale Regolamento (604/2013), entrato in vigore nel 2014, rappresenta l’elemento centrale del sistema di asilo europeo e «stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide». Si tratta quindi della legge che definisce quale paese dovrà prendere in carico un richiedente asilo. Il testo attuale è conosciuto anche come Dublino III ed è stato adottato in sostituzione del precedente Regolamento n. 343 del 2003, che a sua volta aveva modificato la Convenzione di Dublino, quale primo trattato internazionale che disciplinava il sistema di asilo, firmato nel 1990 ed entrato in vigore nel 1997. La disciplina del Regolamento Dublino III tenta di rafforzare la protezione dei richiedenti asilo durante tutta la fase di esame della rispettiva richiesta, garantendo, ad esempio, il diritto di informazione dei migranti, colloqui personali, maggiori tutele per i minori e per i membri della famiglia, delle persone a carico e dei parenti del richiedente; assistenza legale gratuita, diritto di fare ricorso, qualora il richiedente lo voglia, contro le decisioni di trasferimento in un altro paese dell’Ue o, più in generale, contro la decisione di rigetto della domanda di protezione internazionale. Il regolamento prevede il trattenimento dei richiedenti in presenza di rischio di fuga (ad esempio in caso di trasferimento in un altro paese dell’Ue). Dublino III introduce, inoltre, un meccanismo di allerta rapido, di preparazione e di gestione delle crisi, progettato per aiutare i paesi dell’Ue che devono gestire un elevato numero di richiedenti protezione internazionale alle loro frontiere.

Altro importante tentativo di riforma era stato avanzato dopo il 2015 e il 2016. A cavallo fra i due anni, infatti, i paesi di frontiera dell’Unione europea affrontarono più di un milione di arrivi. Questi numeri avevano palesato tutte le criticità del sistema di Dublino, adottato infatti quando i flussi migratori erano di gran lunga minori. Dopo una proposta di modifica nel 2016, nel 2018 è seguito un progetto di riforma da parte del Parlamento europeo che, alla luce del fallimento della redistribuzione dei migranti su base volontaria, prevedeva un meccanismo di trasferimento obbligatorio dei richiedenti asilo dagli Stati di frontiera a quelli interni. La proposta però non è mai stata esaminata dal Consiglio dell’Unione europea, l’organo in cui sono rappresentati i governi dei 27 Stati membri e che ha anche il compito di deliberare su questo tema.

In generale, quindi, è necessario modificare l’attuale disciplina del diritto di asilo per lo squilibrio in cui si trovano i vari Stati dell’Ue rispetto ai fenomeni migratori sulla base della loro mera posizione geografica. Al centro delle controversie, infatti, ci sono ancora i passaggi del Regolamento che impongono di inoltrare la richiesta di asilo nel paese di prima accoglienza, scaricando quindi su questo i maggiori oneri: un principio che riguarda quelli più esposti alle rotte del Mediterraneo, come Italia, Grecia e Spagna. La gestione dei richiedenti asilo dovrebbe avvenire su scala europea, secondi i princìpi della condivisione equa di responsabilità – ossia quanti richiedenti possono essere accolti per ciascun paese, sulla base del Pil e della popolazione – e della solidarietà verso i paesi più esposti.

La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il sindaco di Lampedusa Filippo Mannino in occasione dell’ultima visita delle due cariche all’hotspot di Lampedusa lo scorso 17 settembre. Fonte: Wikimedia

Con il Regolamento crisi si sta lavorando oggi ad una micro-riforma che riprenda il principio della redistribuzione dei migranti dai paesi di frontiera verso i paesi interni, ma, come prima riportato, su base volontaria e solo nei momenti di picco degli arrivi. Per gli Stati membri che non vogliano accettare questo meccanismo è previsto il pagamento di una somma di denaro per ogni migrante che non viene accolto. Se di norma i membri dei governi nazionali che compongono il Consiglio dell’Unione deliberano all’unanimità, in tema di migrazioni è previsto invece che si possa decidere a maggioranza qualificata. Si tratta di un aspetto importante in quanto rende possibile portare avanti le discussioni sulle modifiche nonostante la salda opposizione di membri come Ungheria e Polonia che non coltivano alcun interesse a modificare il Regolamento. Ufficialmente Polonia e Ungheria hanno sostenuto sino ad ora che le questioni riguardanti le migrazioni non potrebbero in realtà essere approvate a maggioranza, ma all’unanimità, e questo in base alle conclusioni del vertice del giugno 2018, dove si è parlato solo di “unanimità”, regola che quindi Varsavia e Budapest richiedono venga rispettata. Contrariamente a quanto da loro sostenuto, però, sono gli stessi Trattati dell’Ue a prevedere che in tema migrazioni sia possibile legiferare a maggioranza qualificata. L’accordo è stato quindi raggiunto nonostante l’opposizione dei due governi e l’astensione di Repubblica Ceca, Slovacchia e Austria. L’obiettivo finale rimane quello di concludere i lavori sulla riforma entro la fine del 2023. In questo modo il Consiglio dell’Unione europea e il Parlamento europeo avranno la possibilità di cercare un accordo entro i primi mesi del 2024 e far entrare in vigore il nuovo Regolamento entro giugno 2024, cioè entro la fine della legislatura.

Chiara Vilardo